di Salvo Barbagallo
Quanta acqua è passata sotto i ponti da quando i primi migranti lasciarono la Sicilia per attraversare l’Oceano e sbarcare in “America” ancor prima dell’Unità d’Italia? In centomila solo nel periodo che va dal 1880 al 1906, e migliaia e migliaia nei decenni che seguirono. I nipoti dei pronipoti (eccetera) Siciliani dello Zio Sam furono gli sconosciuti protagonisti dell’Operazione Husky, cioè dell’operazione che consentì la “buona” riuscita dello sbarco angloamericano in Sicilia nel luglio del 1943, e della seguente e conseguente “occupazione” militare dell’Isola da parte degli Stati Uniti d’America che si protrae a tutt’oggi. Di quei “picciotti oriundi” si conoscono molti nomi, ma non le loro storie individuali, disperse dopo la conclusione del conflitto mondiale nelle maglie della società a Stelle e Strisce. Sebbene siano trascorsi 75 anni dagli avvenimenti che (a nostro avviso) costituiscono la reale base di ciò che è accaduto nel corso dei decenni in Italia, molti documenti (la quasi totalità, dovremmo dire) che riguardano gli avvenimenti di quel torbido periodo rimangono secretati. E pur tuttavia c’è desecretato, e venuto alla luce nel corso del tempo, qualche documento significativo che, sebbene posto all’attenzione (marginale, molto marginale) dai mass media in conclusione non è stato ritenuto tanto “importante” da meritare l’opportuno approfondimento da parte di Organismi istituzionali competenti, rimanendo in tal modo materia (poco studiata) di qualche storico della domenica.
Ci riferiamo, per esempio, al “noto” Rapporto “Scotten”, una relazione di una decina di pagine che il capitano del OSS (Office of Strategic Services) W.E. Scotten inoltrò ai suoi superiori il 29 ottobre del 1943, che portava l’emblematica intestazione “The Problem of Mafia in Sicily”. Nella relazione ci sono passaggi che dovrebbero far riflettere anche nei giorni nostri:
La mafia è Un fenomeno che avrà gravi implicazioni per la situazione politica attuale e futura dell’ isola e del resto d’ Italia. (…) Le possibili soluzioni sono
a) un´azione diretta, stringente e immediata per controllare la mafia;
b) una tregua negoziata con i capimafia;
c) l´abbandono di ogni tentativo di controllare la mafia in tutta l’isola e il [nostro] ritiro in piccole enclaves strategiche, attorno alle quali costituire cordoni protettivi e al cui interno esercitare un governo militare assoluto».
«La prima soluzione richiede un´azione fulminea e decisiva nell´arco di giorni o al massimo di settimane (…) e l´arresto simultaneo e concertato di cinque o seicento capifamiglia – senza curarsi della personalità e delle loro connessioni politiche – affinché siano deportati, senza alcuna traccia di processo, per tutta la durata della guerra (…)».
La seconda soluzione consisteva nel venire ad un accordo con la mafia stessa. Gli Alleati avrebbero rassicurato i capimafia che il loro unico interesse nel governare la Sicilia era il proseguimento dello sforzo bellico, e che quindi non avrebbero mai interferito negli affari interni dell’isola, il cui governo sarebbe stato al più presto restituito ai siciliani, e nelle attività mafiose. Però la mafia avrebbe dovuto rinunciare a tutte le attività connesse con il movimento e il commercio delle derrate alimentari o di altri generi di prima necessità richiesti dalla popolazione o prodotti utili al proseguimento della guerra. Inoltre, minacciandola, la si rassicurava affermando che gli Alleati avevano sì il potere di distruggerla, ma che non trovavano conveniente impiegare le forze militari necessarie allo scopo.
Infine, la terza soluzione era quella della resistenza e del contenimento dell’attività mafiosa, l’abbandono di ogni tentativo di controllo sulla mafia nell’isola e la ritirata in piccole zone di enclave, delimitate e protette, all’interno delle quali esercitare un vero e proprio governo militare.
Ci riferiamo, ancora per “esempio”, ad altri due documenti, a due rapporti, con classifica di segretezza (che si ritrovano allegati negli Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia della VI legislatura) inviati dal console generale degli Stati Uniti a Palermo, Alfred T. Nester, al Segretario di Stato il 21 e il 27 novembre 1944.
Il titolo del primo è “Meeting of Maffia Leaders with General Giuseppe Castellano and formation of group favoring autonomy”. Nel testo si legge: “Signore, ho l’onore di informarla che il 18 novembre 1944 il generale Giuseppe Castellano, insieme ai capi della Mafia, presente Calogero Vizzini, si è incontrato con Virgilio Nasi, capo della nota famiglia Nasi di Trapani, e gli ha offerto di assumere la direzione del Movimento per l’autonomia siciliana, appoggiato dalla Maffia (…). Il Movimento è ancora in una fase iniziale di organizzazione, quindi questo mio rapporto non potrà essere completo. Il generale Castello (…) ha stretto contatti con i capimaffia e li ha incontrati in più occasioni. Come già riferito nel mio dispaccio n. 65 del 18 novembre 1944, membri importanti della Maffia si sono incontrati a Palermo, e uno dei risultati di questi incontri è stato di chiedere a Virgilio Nasi di Trapani di mettersi alla testa del Movimento, con l’obiettivo di diventare Alto Commissario per la Sicilia. (…)
Il secondo documento, datato 27 novembre 1944, ha per titolo: “Formation of group favoring Autonomy under direction of Maffia”. In esso è ripreso il testo di un rapporto dell’OSS nel quale è detto tra l’altro: “Dopo tre giorni di incontri segreti con esponenti della Maffia a Palermo, il generale Giuseppe Castellano, comandante della divisione Aosta di stanza in Sicilia, ha steso una bozza di accordo sulla scelta e l’appoggio di un candidato come Alto Commissario per sostituire il favorito Salvatore Aldisio, della Democrazia Cristiana. (…). Il candidato è un cavallo oscuro, un famoso siciliano, Virgilio Nasi, boss della provincia di Trapani, che è stato avvicinato dal generale Castellano, dopo aver esposto il suo piano ai capi dell’alta Maffia durante la settimana. L’incontro tra il generale Castellano e Nasi è avvenuto sabato su una spiaggia fuori mano a Castellammare del Golfo. Erano presenti due luogotenenti di Nasi, l’ex aiutante del generale Castellano in Nord Africa e a Roma, il capitano Vito Guarrasi e l’avvocato Vito Fodera (…)”.
Nel momento che sta attraversando l’Italia, a conclusione di “un” processo sulla Trattativa Mafia/Stato, nel momento in cui il Paese non ha ancora un Governo, gli “elementi” che si riscontrano nei documenti citati dovrebbero far dire che non hanno soltanto un valore storico, ma che assumono rilevanza per comprendere un percorso lungo settantacinque anni che non è mutato granché dall’inizio ad oggi.
Molte cose sono state scritte e vale la pena riportarle alla memoria. Come il capitolo dedicato ai “Servizi Segreti Americani” nel libro “Antonio Canepa. Ultimo Atto” pubblicato nel 2012, dove si ritrovano i nomi di molti “picciotti” che ebbero il loro momento di gloria “oscura” nei lontani Anni Quaranta.
I Servizi Segreti Americani
Alla fine del ’42, in ritardo su tutta l’attività svolta dai colleghi inglesi, i servizi spionistici americani considerarono la concreta utilizzazione di uomini e mezzi in Sicilia per preparare e portare a buon fine, per quel che li riguardava, il piano d’invasione. La pubblicistica, enorme sui fatti italiani, per più di vent’anni ha individuato nel Naval Intelligence Service l’organismo statunitense che per primo mise in campo personale siculo-americano per scopi informativi, e in parte risponde a verità, per quel che concerne almeno l’attività svolta nel territorio degli USA.
Il NIS, infatti, si era ampiamente servito degli immigrati per fronteggiare i numerosi atti di sabotaggio contro il naviglio che navigava lungo le coste americane, per opera di commando sbarcati da sottomarini tedeschi. Al NIS era apparso chiaro che gli equipaggi germanici erano aiutati da oriundi italo-tedeschi.
Nella fase iniziale della guerra gli USA avevano subito la perdita di un milione di tonnellate di naviglio, sotto i loro occhi, nella zona di Long Island. I sabotaggi avevano raggiunto la fase culminante nel febbraio del ’42, con l’incendio del transatlantico francese “Normandie”, alla foce dell’Hudson. L’inchiesta per scoprire i sabotaggi era stata affidata al tenente di vascello Charles Radeliffe Haffenden che, per neutralizzare spie e sabotatori, chiese la collaborazione della malavita siciliana, che deteneva l’incontrastato dominio delle zone portuali. I sabotaggi ebbero così termine. Il Naval Intellingence Service tornò a servirsi della malavita organizzata alla vigilia dello sbarco in Sicilia, per mezzo di Lucky Luciano, il quale prestò l’opera richiesta e in cambio ottenne, a guerra conclusa, il condono di una pena di cinquanta anni che stava scontando nel carcere di Clinton, a Dannemora. Certamente il contributo che Luciano ha dato al NIS, attraverso i personaggi ritenuti mafiosi, come Calogero Vizzini, sarà stato notevole, ma indubbiamente mitizzato al di sopra di quello che realmente fu. È anche esatto affermare che la verità completa non si è mai conosciuta. Gli americani solo da poco tempo a questa parte hanno incominciato ad aprire i loro archivi agli studiosi. Ed è proprio dalla conoscenza di queste prime fonti che si può, in parte, ridimensionare la figura di Luciano, per scoprire nuovi, a volte insospettati, protagonisti che hanno preso parte, dietro le quinte, alla Seconda Guerra Mondiale. Si delinea il ruolo svolto dal Vaticano con Giovanbattista Montini (allora presso la Segreteria di Stato e divenuto poi Papa Paolo VI) in contatto con un veterano della diplomazia clandestina americana, Earl Brennan, già diversi anni prima che l’Italia entrasse in guerra.
Gli americani si mossero con difficoltà in quest’area già monopolizzata dagli inglesi attraverso i loro servizi segreti. È da rilevare, per inciso, che solo con la divisione delle sfere d’influenza e la progressiva decadenza della Gran Bretagna, si assisterà al predominio della “rete” americana su quella inglese. Si comprende a pieno che l’attività svolta dall’OSS costituiva un vero e proprio superdipartimento di Stato attrezzato per la guerra con una forza di 13.000 uomini in servizio permanente, e un bilancio senza supervisione da parte del Congresso americano. Gli americani potevano avvalersi, poi, dell’esistenza di 2 milioni di oriundi siciliani operanti negli USA: la percentuale di siculo-americani che sbarcarono in Sicilia, prima e durante l’operazione “Husky”, fu del 15 per cento. Molti di questi “volontari” avevano nomi che furono ricordati, negli anni a venire, per altre imprese: l’allora tenente di vascello Antony J. Marzullo, Albert Anastasia, Vito Genovese, Pasquale Sciortino (marito di Mariannina, sorella di Salvatore Giuliano), Frank e Joe De Luca, Peter e Joseph Di Giovanni, Jim Balestrere, Joe Adonis, Nick Gentile, Thomas Buffa, Tony Lopiparo, Joseph Antoniori, Philiph D’Andrea (la lista è lunghissima, ma tutta ricostruibile).
Le principali sezioni dell’OSS erano: Fiel-Section, Office of the General Council, Office of Research and Development, Planning Staff, Field Photographic Branch, Secret Intelligence Branch, X-2 Branch, Research and Analysis, Special Operation, Psychological Staff, i cui compiti andavano dal coordinamento delle missioni sul campo, allo studio e ricerca di armi speciali, alla raccolta e distribuzione d’informazioni segrete, ai legami con i gruppi clandestini all’estero: tutte sezioni con fondi autonomi. Per dirigere il comparto di pronto intervento in Italia, il Secret Intelligence chiamò un uomo che lì aveva trascorso la sua infanzia e dove aveva operato, in seguito, a livello diplomatico: Earl Brennan, che aveva avuto addirittura contatti con l’Ovra e con la Massoneria. Brennan, a quell’epoca, si trovava in Canada, e fu in questo Paese che cominciò il suo giro di contatti con i siciliani dell’Onorata Società, ivi espatriati in seguito alle drastiche misure adottate da Mussolini per debellare il fenomeno criminoso. Fu nella primavera del ’42 che Brennan dette il via al suo reclutamento attivo attingendo alla comunità di Hartford e Middletown, nel Connecticut. Passarono alle sue dipendenze uomini come Vincent Scamporino (sindacalista laureato alla Boston University), l’avvocato Victor Anfuso, Philip Mangano, Felix Francolino, Vincent Lassowaky, e il giovanissimo Max Corvo. Questi elementi si trovavano ad Algeri all’inizio del ’43 sotto il comando di Max Corvo e di Vincent Scamporino, per programmare la penetrazione politica della Sicilia in vista di un Governo Militare, dando per scontata la riuscita dell’invasione.
Iniziò così un viavai di piccoli, medi e grossi calibri di una delle aggregazioni più potenti nell’Isola, appunto, appartenenti all’Onorata Società: dalla Sicilia ad Algeri, negli Stati Uniti, e ritorno. Fra Onorata Società – non ancora mafia – e USA non ci fu soltanto un rapporto occasionale: la verità è che il Governo americano arruolò all’interno dei propri servizi questi uomini e di essi si servì come strumento d’indirizzo politico anche nell’immediato dopoguerra. A “uomini di rispetto”, tipo Calogero Vizzini, Genco Russo, Salvatore Malta, Dam Lumia, Vito Genovese, e tanti altri ritenuti antifascisti, si affidarono Max Corvo e Vincent Scamporino – nella cui squadra figuravano personaggi come Louis Fiorilla, l’avvocato Emilio Q. Daddario, Dick Mazzarini, l’avvocato James Montante, Joseph Russo, Egidio Clemente, l’avvocato Joe Caputa, Girolamo Valenti, Frank Tarallo, Sal Principato, Umberto Galleani, Joseph Salerno, Luigi Di Maggio, Louis S. Timpanaro, Vincent Pavia, Peppino Puleo, Tony Camboni, Carl Bommarito, Joe Buta, Steve Martin, Donato Petruccelli, Albino Perna, Valeriano Melchiorre, Carl Bove, Raimondo Crateri, Louis Fioilla –, per scoprire innanzitutto la consistenza delle forze militari nazifasciste e delle opere di difesa esistenti in Sicilia. Lo scopo principale è quello di creare un clima adatto per una tranquilla convivenza della popolazione con le truppe d’occupazione.
Gli americani, dopo la fase preparatoria, agiscono dall’aprile del ’43 nella Sicilia Occidentale, con i collegamenti descritti. Finalità: neutralizzare in via indiretta i posti chiave militari, inducendo con un’appropriata campagna psicologica la popolazione alla collaborazione in vista di una occupazione la cui durata non era possibile stabilire. Già un anno prima dello sbarco angloamericano, infiltrato in Sicilia, ospitato clandestinamente da notabili legati alla mafia, c’era il futuro governatore della Sicilia occupata, Charles Poletti, ex vicegovernatore di New York, grosso trafficante e notabile, che soffiò quel posto all’italo-americano Fiorello La Guardia. Agli ordini di Poletti passarono poi Damiano Lumia (nipote dell’omonimo capomafia) e Vito Genovese, rientrato in Sicilia dagli Stati Uniti nel ’36, legato al notabilato fascista, che protesse negli anni dell’occupazione dell’Isola. Saranno in seguito, a guerra conclusa, documentate le reti che legavano Poletti e Genovese al mercato nero intercontinentale e gli stretti legami con Calogero Vizzini e Genco Russo: Poletti a New York dirigerà una società di import-export, usando Genovese per le esportazioni commerciali e don Calogero Vizzini e Genco Russo per quelle alimentari, avvalendosi di Jimmy Hoffa, del sindacato trasporti, per gli scambi con l’estero.
Proprio Charles Poletti, governatore, appena ricevuto il suo incarico ufficiale a Sicilia liberata, “ufficializzerà” la mafia nel ruolo di “consulente” e di “interprete” del governo alleato.